Ippica, Galoppo, Corse & Allevamento

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giovedì, gennaio 09, 2014

A spasso nel tempo. Mario Berardelli parla dell'origine del Purosangue Inglese attraverso lo studio delle linee stalloniere fino ai giorni nostri. In questa puntata i primi 2 capitoli dell'opera omnia: Cavaliere d'Arpino e St Simon

Non puoi andare all'Università se prima non hai fatto le elementari. Adora ricordarcelo Mario Berardelli come dogma fisso quando si parla di storia dell'ippica. E allora l'inverno lungo e freddo (mica tanto), ci da tempo e modo di ripercorrere un pò la storia del Purosangue Inglese, base fondamentale da acquisire e conservare se si vuole essere considerato un appassionato doc! In una serie a puntate, proporremo un interessantissimo studio condotto da Mario stesso che negli ultimi due mesi ha pubblicato sul Trotto & Turf settimanalmente in una rubrica specifica, e che noi di Mondoturf, grazie ai documenti conservati e generosamente donati da Mario e per concessione di Trotto & Turf, riproponiamo come spesso facciamo per non disperdere la cultura e restituire dignità a questo mondo ora troppo concentrato sulle virtuali e sulla politica, ma che ha nobili origini. Potremmo chiamarla.."A spasso nel tempo" in oltre 10 capitoli o puntate. Come sono nate le linee stalloniere? e come si sono sviluppate fino ad arrivare al dominio di Northern Dancer ed i suoi figli? Delle origini del cavallo sapete un pò tutto, quindi a partire dal 1700 dai famosi tre stalloni di origine orientale (nella foto a destra, si parte dal centro e si arriva fino alle diramazioni principali, per vedere meglio basta scaricare la foto ed allargare lo zoom), vale a dire il baio Byerley Turk (di origine turca), il baio oscuro Darley Arabian (di origine araba) ed il baio oscuro Godolphin Barb (di origine berbera) i quali furono accoppiati a 100 fattrici locali, le cosiddette "foundation mares", scelte per la loro idonea conformazione e per la loro velocità. Di queste fattrici una quarantina hanno perpetrato la loro linea diretta femminile fino ai nostri giorni. Nel 1800 queste famiglie furono classificate da un grande studioso, Bruce Lowe, che le numera da 1 a 74 a seconda del numero di loro discendenti vincitori di classiche. 
Ma quello che ci interessa è che dai tre fondatori della razza discendono altrettanti capostipiti e precisamente da Byerley Turk attraverso quattro generazioni si arriva ad Herod e si finisce con Ahonoora, da Darley Arabian attraverso quattro generazioni si arriva ad Eclipse, di gran lunga il più importante stallone da cui si sviluppano il 90% dei cavalli che vediamo correre ai giorni nostri passando per Nearco, (Eclipse era il primo cavallo del secolo e, osserva Gianoli, non era stato un parto della fantasia che St. Simon e Ribot, altri cavalli del secolo, sono entrambi suoi discendenti e che ancora oggi al mondo due campioni su quattro portano una goccia del suo sangue), e da Godolphin Barb in seconda generazione Matchem fino a Man O'War, poi dispersa. Questi sono i moderni capostipiti. Da dove partiamo? Da St Simon (nella foto in basso) e prima ancora da Cavaliere d'Arpino, per fare il punto della situazione..ma tranquilli, non vogliamo annoiarvi. Sarà un percorso lungo e tortuoso. Se avete pazienza e solo se siete interessati, potete cliccare sul tastino in basso ed abbeverarvi alla fonte della conoscenza. Buona lettura
CAPITOLO 1°: CAVALIERE D'ARPINO.
Come qualche giorno fa ci ha ricordato Pio Bruni, uno dei maggiori rivali autentici di Federico Tesio fu Giuseppe De Montel, cosi anche qualche neofita  si può rendere conto di chi sia il personaggio cui il nostro turf ha dedicato una listed per due anni  a fine riunione milanese di primavera (ne riparleremo). Ebbene sembra incredibile ma il Senatore alla resa dei conti è stato tributario nei confronti del rivale di un qualcosa di inestimabile valore: non avrebbe mai potuto produrre i suoi due (tra i tanti) capolavori, diciamo quelli assoluti (Nearco e Ribot), senza il concorso dello stallone per eccellenza di casa De Montel ovvero Havresac II. Infatti Havresac, che dunque Tesio utilizzò e per sue ottime madri, è intanto il padre  di Cavaliere d’Arpino che il Maestro ha sempre ritenuto (con lui quasi tutti gli osservatori tecnici dell’epoca che poi hanno visto anche Nearco e Ribot) in assoluto il più eccezionale cavallo da lui prodotto, dunque superiore all’immenso Nearco ovviamente come macchina da corsa ma, ricordiamo, il Senatore non ebbe la fortuna di vivere Ribot.  Come tutti sanno Cavaliere d’Arpino è il padre di Bellini che è il padre di Tenerani che è il padre di Ribot. Non solo ma Havresac è anche il padre di Nogara che è la madre di Nearco. Domanda: Nearco è un figlio di Pharos oppure un nipote di Havresac? A dar credito alla teoria del nonno materno, vale a dire quella che ritiene quasi più importante nella lettura del pedigree di un cavallo la funzione del padre della madre  in fondo la domanda non è peregrina del tutto. Nogara sarebbe stata Nogara senza essere figlia di Havresac?  Adesso rinfreschiamoci la memoria altrimenti andiamo in leggera confusione.
Lasciamo perdere, per questa volta, Ribot e concentriamoci sul Cavaliere (d’Arpino, tranquilli) e su Nearco attraverso Nogara. Dunque Cavaliere d’Arpino è un figlio di Havresac (secondo Varola caporazza a vocazione intermedia) che a sua volta era un figlio di Rabelais da St Simon, uno dei capirazza assoluti dell’inizio del 900. Di più, Havresac era inbreed 2 x 3 proprio su St Simon, un ritorno molto stretto, audace ma forse la chiave insieme del concentrato di estrema qualità e forse anche di una certa fragilità. Cavaliere d’Arpino era invece inbreed 4 per 4 su Galopin che era il padre di St Simon ma anche di Weir la terza madre di Cavaliere. Havresac era nato nel 1915 mentre Chuette la madre era del 1916. Era una figlia di  Cicero (derby winner, di Epsom ovviamente, con produzione però brillante ) e la madre ci chiamava Chute, figlia di Carbine e Weir, appunto. Varola ci ricorda che Tesio amava costruire i suoi pedigree con stalloni intermedi o anche brillanti nelle prime due generazioni mentre nella quarta non prevedeva che classici. Questa era la sua costruzione standard che nel Cavaliere si ripete e presenta in quarta generazione St Simon, Ajax, Cyllene e Carbine. Varola tuttavia a differenza del Bobinsky che ne fu cultore , noi con lui, pur ovviamente rispettandone il ruolo, ha sempre teso a considerare di maggiore importanza gli stalloni che costituivano la ossatura del pedigree di un cavallo rispetto alla sezione prettamente materna. Il tempo, grazie anche allo stupendo lavoro analitico proprio del Bobinsky, ha dimostrato che la sezione materna è assolutamente fondamentale oggi come oggi. Per farla breve oggi in una Asta uno va a comprare un figlio della stessa madre di Frankel più che un figlio dello stallone tal dei Tali. Anzi a parità di padre è la madre che fa nettamente premio. Questo è un concetto che oggi è pacifico ma ancora negli anni 60 o inizio 70 non era tale perché c’era chi considerava un qualsiasi figlio di Tenerani come un fratellastro di Ribot e purtroppo li metteva anche in razza. La differenza non è sottile ma fondamentale al giorno d’oggi. 
Di Nogara parleremo in altra occasione altrimenti l’effetto lexotan della vostra lettura diventa pericoloso. Restiamo su Cavaliere d’Arpino. Pensate che era un contemporaneo di Ortello, uno dei capolavori di De Montel, il figlio di Teddy e Hollebeck da Gorgos che tra l’altro vinse l’Arco di Trionfo, tanto per darvi una idea soprattutto di cosa era  stata l’ippica italiana dal 25 al 40. Entrambi erano del 1926. Purtroppo Cavaliere d’Arpino non era sano e al turf è mancato il pazzesco duello, libidine pura, tra i due. Mentre Ortello inanellava i suoi trofei trionfali il Cavaliere si leccava le ferite, nel senso che, alle prese con un fisico di cristallo, cercava, per lui Tesio ovviamente, di arrivare a correre. A tre anni lo fece solo una volta, in aprile sui 1200, vincendo visto che  fu imbattuto. Un anno esatto di silenzio, di paziente e miracoloso lavoro del Senatore intorno alle sue gambe pure ma fragili e di nuovo in campo nel 1930 per inanellare una suite, dopo rientro, strepitosa: Ambrosiano, Omnium ed infine il Milano sui 3000, allora la madre di tutte corse e le distanze (pensate che ad Ortello dopo l’Arco si pensò mancasse qualcosa, la Gold Cup per essere il Campione, andò in Inghilterra ma una caduta in lavoro lo riportò in patria). Altri tempi, dobbiamo saperne cogliere  la migliore essenza ma dobbiamo anche comprendere che il turf oggi è un’altra cosa.  Comunque il Cavaliere vinse letteralmente da solo le sue tre corse, non esistevano gli avversari, cioè lui non si accorse di averne, come abbiamo già detto poteva seguire ogni andatura e poteva a piacimento cambiare ritmo e allontanarsi da qualsiasi rivale. Questa fu la devastante impressione che lasciò negli osservatori, la macchina da corsa perfetta. Fragile tuttavia, al punto da indurre Tesio, pare, a non forzare nel lavoro (lui così duro in materia come del resto lo sono stati tutti i Maestri, ultimo sir Henry) finale altrimenti non avrebbe corso il Milano che dunque dominò in condizione non al top. Cosa sarebbe stato il Cavaliere se fosse stato anche sano? Soprattutto considerando ciò che aveva fatto a Parigi Ortello? Dopo il Milano per un attimo il Senatore accarezzò il sogno di Parigi, niente da fare la fragile macchina da corsa aveva dato tutto ciò che era nelle sue possibilità. Entrò in razza e spesso trasmise questa sua fragilità per fortuna non a Bellini, robustissimo come anche Tenerani che la sua Coppa a Goodwood la vinse e che poi ci esaltò tutti con la magia di Ribot : figlio di Tenerani oppure più  di Romanella? Ne parleremo.
Capitolo 2°: ST SIMON
L’appassionato Giuseppe, ippico doc (come vedete ancora esistono) con il quale dialoghiamo sovente via mail prende lo spunto dall’articolo su Cavaliere d’Arpino per portare il discorso su St Simon del quale avevamo fatto cenno per via del duplice ritorno nel pedigree di Havresac. Giuseppe ci ricorda che Luigi Gianoli lo definì il Re degli Stalloni e soprattutto che è stato il cavallo capace di mettere paura a Fred Archer, il mito assoluto prima dell’altro mito dei miti ovvero Lester Piggott.  Ricorda il nostro amico che, pare, dopo un solo colpo di frusta St Simon partì a razzo, seminò i compagni e tanto correva che sparì alla vista di tutti. E’ chiaro che la leggenda con il tempo magari arricchisce di particolari sensazionali le vicende di un grandissimo cavallo ma resta il fatto che St Simon fu un grande al punto che, rientrando da quella corsa Fred Archer ebbe a dichiarare, ce lo ricorda sempre il nostro appassionato interlocutore, anzi giurò che non avrebbe mai più usato la frusta con quel “demonio”. 
Rinfreschiamoci la memoria: St Simon era nato nel 1881 e lo aveva allevato il principe ungherese Batthiany che però morì prima di vederlo correre e cosi se ne rese acquirente il duca di Portland ma, a causa delle regole del tempo, ogni iscrizione classica del cavallo fu annullata. St Simon corse nove volte a due e tre anni e fu imbattuto vincendo da 1600 a 4000 metri con in particolare la Gold Cup di venti lunghezze. In razza ha dato origine alle linee di Florizel, Persimmon, Chacher, Rabelais, St Frusquin, Desmond, Diamond Jubilee. E’ morto a 27 anni. La precisazione ci offre il destro per provare ad allargare il discorso e renderlo, speriamo, tale da farci comprendere un certo andamento  dello sviluppo genealogico del turf.  Attenti:  sono nostre opinioni e, come dicono i foglietti che accompagnano le medicine, possono avere effetti collaterali, su tutti la noia e la sonnolenza. Della importanza assoluta di St Simon nello sviluppo genealogico del turf ci hanno sempre fornito testimonianza persone che, negli anni trenta, ne avevano potuto avere sensazione meglio percezione più diretta in quanto la sua influenza era all’apice. In tale termini ad esempio, cioè che fosse il padre di quasi tutti, ce lo dipingevano Guido Berardelli oppure Renato Ricchi e tale lo considerò Enrico Canti. Partiamo da queste considerazioni per una riflessioni più ampia. Studiando per tanti anni i pedigrees dei grandi vincitori o anche i cataloghi delle Aste, anzi per oltre un decennio contribuendo proprio a redigerli, nell’epoca d’oro del cartaceo, abbiamo maturato una convinzione, non una legge e neppure un qualcosa che è suffragata da alcunché di scientifico, solo empirismo. 
Piccola parentesi per gli amici che ci amabilmente si sacrificano seguendoci: i cataloghi o meglio la impostazione che hanno adesso i cataloghi nel mondo è mutuata dallo schema che insieme ad Enrico Arcari “inventammo” quasi per primi proprio sotto l’influsso degli studi del Bobinsky. In sostanza, se ci fate caso, prima della metà degli anni settanta i cataloghi presentavano la linea femminile del soggetto in vendita in maniera discorsiva e senza un format tipografico particolare. Noi provammo a farne un qualcosa che rendesse anche visibilmente la lettura come se si fosse in presenza di una tavola del Bobinsky, il maestro che ha spiegato al turf  più di tutti la importanza della sezione materna in un pedigree. Chiusa la parentesi. Torniamo allo sviluppo delle linee solo maschili. Appunto studiandole ci sembra che in un secolo e mezzo lo sviluppo delle linee maschili abbia avuto un andamento che faceva seguire ad un delta un estuario e poi ancora un delta e cosi via. Il delta di un fiume è caratterizzato  da tantissime derivazioni che fanno sfociare il fiume nel mare attraverso numerosi piccoli corsi d’acqua occupando uno spazio anche di molti chilometri mentre l’estuario vede il fiume sboccare nel mare direttamente  in tutta la sua potenza e grandezza. Nello sviluppo delle linee maschili questa rappresentazione appunto ci sembra alternarsi, in linea di massima sia chiaro.  Esempio molto scheletrico: St Simon cannibalizza  il corso d’acqua genealogico, insterilisce gli altri rivoli ma non li estingue, diventa estuario e nello sviluppo si passa solo da lui, quasi al 90%. Dopo di lui di nuovo un delta determinato dai suoi discendenti  in tanti rivoli, meglio linee di sangue che possono essere ricondotte a lui ma non necessariamente tutte, attenti,  cui segue nuovamente un estuario che ha il nome e le sembianze del capolavoro del senatore ovvero Nearco che non è però discendente maschile di St Simon (il famoso rivolo autonomo, la linea di Pharos, Phalaris, Polymelus, Bonavista) sul quale però era imbreed diverse volte. Si, Nearco è il vero grande immenso capolavoro del turf moderno, il campione ma come ce ne sono anche altri, il padre come non ce ne sono altri. Nearco diventa estuario, costringe alla resa altri corsi d’acqua genealogici di assoluta importanza (pensate a Hyperion, alle linee di Djebel, a Teddy, a Blandford-Blenheim, Rabelais  a tutte le altre insomma)  e , ovviamente debbono passare 50 anni in media ecco che le linee di sangue dominanti oggi sono riconducibili a quella di Nearco che a sua volta attraverso i suoi discendenti ha riprodotto un altro delta dai cui rami uscirà il nuovo estuario (Northern Dancer? Probabilmente si ) e cosi via.  E’ una visione semplicistica, lo ammettiamo, perchè poi magari sotto la cenere il fuoco cova sempre (abbiamo visto la linea di Nearco) e magari dopo tanti anni ecco che improvvisa una linea può riemergere e dominare ma se , in linea di massima, la prendiamo per buona ci fa rendere conto di come il purosangue sia incredibilmente un prodotto di altissima selezione e nello stesso tempo di concentrazione pazzesca di sangue. 
Mario Berardelli

7 commenti:

  1. Ma esiste una storia più affascinante? Grazie di cuore Gabriele e Mario.

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  2. grande Mario!!! spiegazioni veramente esaurienti da vero intenditore e appassionato,io sono solo un appassionato di corse ma tutto cio' che riguarda i cavalli da corsa mi affascina e lo leggo sempre molto volentieri specialmente se spiegato cosi' bene.

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  3. a proposito dell'articolo di Mario Berardelli sulla discendenza di isinglass, vorrei ricordare la rifioritura del ramo Bahram-Persian Gulf grazie alla linea tedesca Tamerlane-Dschingis Khan-Konigsstuhl, che ci conduce a Monsun, stallone in grande evidenza nelle recenti stagioni grazie a importanti vincitori come Manduro, Shirocco, Maxios, Stacelita, Novellist, Estimate, Silasol. Una linea che rinasce
    a livello internazionale, con buone possibilità di continuare per altre generazioni

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  4. bellissimo angolo di approfondimento e meraviglioso articolo, scritto in modo tale da renderlo interessante e avvincente allo stesso tempo; merito suppongo della grande passione ippica dell'autore.
    grazie

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  5. Giovanni Dellepianegennaio 12, 2014 6:33 PM

    Grazie per averci regalato questo bell'articolo. Me lo sarei aspettato su TRotto & Turf, ma purtroppo il giornale ha perso ogni contatto con la cultura ippica.

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    1. Ciao Giovanni. L'articolo, come tutti quelli che ripubblicherò qui, sono già usciti sul trotto & turf da novembre in avanti. Evidentemente è un numero che ti sei perso e proprio per questo, per evitare che vengano persi, li ripropongo. Spero l'iniziativa sia apprezzata, giro a mario i ringraziamenti.

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