Ippica, Galoppo, Corse & Allevamento

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martedì, aprile 26, 2016

Intervista a #Dettori: «Vinco, mi diverto. Meglio di così...Vado avanti finché testa e fisico saranno all’altezza. Mi godo tutto quello che arriva e inseguo altri record». Per concessione di Mario Viggiani del Corriere dello Sport del 26 Aprile 2016.

Il 26 Aprile di 75 anni fa nasceva una leggenda: Gianfranco Dettori compie tre quarti di secolo. Vogliamo omaggiare il Mostro, uno dei più influenti fantini italiani, con una splendida intervista che Mario Viggiani ha realizzato per il Corriere dello Sport di oggi, il quale gentilmente ci ha concesso il beneplacito per la pubblicazione, a suo figlio Lanfranco in occasione del suo viaggio a Roma di domenica pomeriggio per montare il Parioli ed in occasione di una intervista a cura di Stefano Luciani per la trasmissione Canter che andrà in onda mercoledì sera sul canale 220 di Sky. Ma prima, AUGURI da parte di Mondoturf al Mostro! Gianfranco ha spopolato in Italia, dove ha vinto tutte le classiche più importanti, oltre che la classifica annuale per 13 volte, e ha conquistato importanti successi anche in Inghilterra, in particolare le 2000 Ghinee (due volte, con Bolkonski e Wollow), le Eclipse e le Sussex Stakes e la Benson & Hedges Gold Cup (ora Juddmonte International Stakes) (ancora con Wollow). Il "cobra" di Serramanna a circa 30 anni ha "sfornato" il suo miglior prodotto in corsa in Lanfranco, uno che ne è erede non solo per legame di sangue, ma anche in pista. L’attività di Lanfranco come fantino è iniziata in Italia: la prima vittoria arrivò il 16 novembre 1986 a Torino in sella a Rif. Da allora, è stato protagonista di una carriera ec
cezionale che l’ha visto protagonista in tutto il mondo: ha conquistato 556 corse di gruppo, tra queste spiccano 11 prove della Breeders’ Cup, 4 King George, 4 Arc de Triomphe, 3 Jockey Club, 3 Dubai World Cup, 3 Japan Cup, 2 Derby di Epsom, 1 Derby irlandese. S’è aggiudicato per tre volte la classifica inglese (1994, 1995 e 2004). Il 28 Settembre 1996 vinse tutte e 7 le corse in programma ad Ascot, impresa ricordata come “Magnificent Seven”. Non potendo diventare "Sir", privilegio tutto inglese, è stato insignito del titolo di "Baronetto". Di seguito l'intervista di Mario Viggiani. Buona lettura!  
Roma, Mario Viggiani. Il ragazzo che sorride ormai ha 45 anni, ma lo spirito è quello di sempre. Anche se domenica a Capannelle avrebbe preferito vincere finalmente l’unica classica italiana che ancora gli manca: il Premio Parioli. Forse però se lo sentiva, che a negarglielo sarebbe stato Andrea Atzeni: Frankie l’aveva simpaticamente accolto nel parterre con un affettuoso ma sonoro schiaffo sulla guancia già rossa del suo erede. Prima e dopo le corse, Dettori ha parlato di passato, presente e futuro, di uomini e di cavalli, di vizi privati e pubbliche virtù. La chiacchierata è iniziata in un ippodromo invaso dalle macchine d’epoca. «Ho avuto quattro Ferrari, ma adesso ho solo una Mercedes: non mi sembra una grande idea spendere magari duecentomila sterline per una vettura da tenere quasi sempre in garage. Sono stato testimonial Alfa Romeo, ora non più».
C’era una volta “il ragazzo che sorride”. E adesso? «Bè, il corpo cambia, ma mentalmente sono il ragazzo di allora, con il sorriso di sempre. Sono più vecchio, ho più esperienza, e so che non potrò fare il fantino ancora per molto. Cerco quindi di godermi questi ultimi anni di attività, senza la pressione di un tempo, dopo aver vinto quasi tutte le corse più importanti, aver realizzato tanti record: sono ancora un fantino perché andare a cavallo è quel che mi piace di più, quello che ho sempre voluto fare fin da bambino. Per me l’ippodromo, la pista da corsa, sono come il palco per un attore o lo stadio per un calciatore» 
Cosa significa essere un campione, nel proprio sport? «Non si nasce campione: lo si diventa. E a me piacciono tutti: mi viene un groppo in gola, quando ognuno di loro compie un’impresa. Io magari ho avuto la fortuna di nascere da un campione di questo sport: mio padre Gianfranco è stato l’esempio migliore che potessi avere davanti a me per dare un senso alla grande passione che avevo fin da piccolo per i cavalli» 
Fin qui com’è andata? «Diciamo che ho avuto una vita colorata, molto varia (il riferimento è all’incidente aereo al quale è miracolosamente sopravvissuto nel 2000, agli episodi giovanili e non solo legati alla droga e al doping, alla squalifica di sei mesi a fine 2012 -ndr), sicuramente non monotona. È dura andare in giù, ritrovarsi in basso, ma c’è una soddisfazione particolare, speciale, quando rinasci» 
I ricordi più belli? «Il Derby di Epsom del 2007 con Authorized, da favorito, dopo anni e anni senza essere riuscito a vincerlo. Ma sono tanti i cavalli fantastici che ho montato: Lammtarra e Golden Horn sono di quelli che nascono ogni vent’anni. E poi come dimenticare il sette su sette ad Ascot: se ci ripenso, ancora non so come ci sia riuscito. Anzi, meglio non pensarci: sono passati vent’anni…» 
Gli uomini più importanti, nella tua carriera? «Dopo mio padre, ovviamente c’è stato Luca Cumani: finii a Newmarket per decisione di Gianfranco, non sapevo cosa aspettarmi, l’inizio fu difficile ma anche grazie a Luca ora ho un feeling speciale con l’Inghilterra. Con John Gosden ho trascorso quattro anni di splendida collaborazione, prima dei diciotto passati con Godolphin, e ci siamo ritrovati di recente: bravo ad allenare i cavalli, ma bravo anche ad allenare me… Ovviamente, grande importanza ha avuto anche il rapporto con lo sceicco Maktoum e il suo team: quasi mille vittorie per loro, un terzo di quelle che ho ottenuto in tutta la carriera. Una bellissima avventura, poi il divorzio e ognuno per la sua strada. La recente collaborazione con lo sceicco Al Thani mi ha restituito le motivazioni di una volta»
Prossimi obiettivi, in pista? «Mi mancano una cinquantina di vittorie per raggiungere le tremila in Inghilterra, dove attualmente sono sesto nella classifica di tutti i tempi: ne servono circa centocinquanta per entrare nella Top Five scavalcando Doug Smith, sarebbe un onore essere preceduto solo da nomi celebri quali Gordon Richards, Pat Eddery, Lester Piggott e Willie Carson. Tra le corse invece, Parioli a parte ce ne sono ben altre che ancora inseguo: in Inghilterra su tutte July Cup e Champion Stakes, e poi la Melbourne Cup» 
E dopo? «Io allenatore? No, no: mi vedo ancora tra i cavalli (ha anche allevato un ostacolista vincitore al meeting di Cheltenham - ndr), però nei media, a commentare le corse, senza essere impegnato tutti i giorni dell’anno come adesso. Tempo fa ho partecipato al Grande Fratello VIP, ma quello non sono riuscito a vincerlo: sono arrivato solo quinto. Continuano a propormi di partecipare a “Ballando con le stelle” o magari a un reality nella giungla, tuttavia per ora non se ne parla. Magari a carriera finita»
Come sei in famiglia? «Mia moglie Catherine, che è il pilastro di casa, dice che sono un rompiscatole e ho la pazienza di un moscerino e che magari succede di tutto e io non mi accorgo di niente. Però se non cucino io, non si mangia mai…» Cinque figli: tanti... «Ormai sono tutti adolescenti, è bello seguirne ogni attività, anche le prime storielle sentimentali. Abbiamo un buon rapporto, li lascio liberi di fare le loro scelte: per fortuna hanno tutti la testa sulle spalle. E si va ancora in vacanza tutti insieme e ci si diverte. Leo è il grande: gioca a polo, è più alto di me ed più robusto nel fisico, quindi altro che fantino… Ella, Mia e Tallula si sono date tutte e tre all’equitazione e fanno gare di salto ostacoli. Rocco è il più piccolo: ecco chi potrebbe magari diventare fantino. Nel frattempo anche lui gareggia sugli ostacoli». 
E in pista, chi è il tuo erede? «Andrea Atzeni è il miglior esempio di come va presa questa professione: è arrivato in Inghilterra da giovane, da solo, e lavorando sodo è già arrivato in alto. Deve essere un modello per tutti quelli che vogliono diventare fantini, non solo per i ragazzi italiani» A proposito di Italia: come vedi la nostra ippica? (Si copre la faccia con le mani...) «Qui c’è passione, alcuni tra uomini e cavalli hanno fatto la storia di questo sport anche all’estero, è triste vedere che adesso non ci sono i soldi per mandare avanti tutto e che il governo non ne abbia a cuore le sorti»
Mario Viggiani

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