Ippica, Galoppo, Corse & Allevamento

image host

Sticker

DAR25813-Equos-banner-Roster-10-NOV22

domenica, dicembre 22, 2019

Calcio e ippica, parla Massimiliano Allegri: "I calciatori sono come i cavalli". Da Minnesota ai cavalli al prato, ecco tutta la antologia "ippica" dell'allenatore di Livorno

Massimiliano Allegri non manca mai a qualche riferimento ippico quando si crea l'occasione. Uno di noi, diremmo. 
Lo spunto è arrivato a pochi giorni da Natale in occasione di una intervista realizzata al New York Times ed a ESPN, ha parlato del suo metodo e del suo futuro nel calcio. Quando Massimiliano Allegri era ragazzino infatti, suo padre era solito portarlo a guardare le cose dei cavalli. Proprio quest'ultimi vengono usati dal tecnico toscano come spunto per parlare di calcio in un'intervista rilasciata a dei giornali americani. "Federico Tesio, uno dei più grandi allenatori di cavalli, diceva sempre che bisogna vedere i cavalli la mattina e guardare come muovono le gambe. Lo stesso vale per i giocatori, così capisci se sono in forma o no. Insisto sempre con i miei assistenti, devono guardare come i nostri ragazzi muovono le gambe, non i computer. Non ce l'ho nemmeno un pc, uso giusto un tablet che mi ha dato la Juventus".
La sfida dialettica si è spostata sui binari del tatticismo. Da buon "risultarista", Allegri ha continuato l'ormai ben nota battaglia contro i sostenitori della tecnologia applicata al calcio: "Se si meccanizza tutto non si hanno più giocatori pensanti. Se questi invece sono abituati a pensare, troveranno altre strade se le porte solite sono chiuse. I migliori giocatori decidono cosa fare con la palla tra i piedi e come trovare la scelta più giusta. La tattica e gli schemi sono putt****e, il calcio è arte e i fuoriclasse sono artisti. A loro non devi insegnare nulla, devi solo ammirarli. Tutto ciò di cui hai bisogno è metterli nelle migliori condizioni possibili".
Nei mesi scorsi il coach di Livorno aveva usato altri paragoni con il mondo dell'ippica sfruttando la sua passione. Nel 2018 aveva raccontato della scommessa su Minnesota, un cavallo preso a 50/1 nonostante gli fosse stato sconsigliato, mentre nella primavera del 2019 ha usato il paradigma che per vincere basta mettere a volte anche solo il muso più avanti degli altri. 
Qui sotto trovate una vasta rubrica dedicata ai suoi continui riferimenti tra calcio ed ippica. Ed in più un articolo pubblicato dal sito www.ultimouomo.com dal titolo "La passione di Allegri per i cavalli". Buona lettura: 
Marco d'Ottavi.
Se dal Porto di Livorno proseguite verso sud, lungo i marciapiedi assolati di Viale Italia, superata la suggestiva terrazza Mascagni e la storica Accademia navale troverete sul lato sinistro della strada, quello che guarda al Mar Tirreno, l’Ippodromo Federico Caprilli. Se ne sta lì immobile dal 1894, gigantesco tra i villini in stile liberty del quartiere Ardenza, anno in cui fu realizzato sui terreni un tempo occupati dal parco di Villa Letizia. Oggi è chiuso, fallito, ma sbirciando tra le sbarre dei cancelli mangiati dalla salsedine, si può ancora respirare un pezzo di Livorno, un pezzo di Massimiliano Allegri.
È proprio qui, all’Ippodromo Caprilli, che l’allenatore toscano passava le sue giornate da bambino: «le mie memorie più felici erano di mio nonno che mi portava alle corse di cavalli a Livorno», ha scritto recentemente in un articolo per The Players’ Tribune. Una passione che gli è rimasta appiccicata addosso e di cui non fa mistero, tutt’altro. Allegri quando può – se riesce – parla di cavalli, dell’ippodromo, di Livorno.
Le scommesse sui cavalli
Nel 2000 Allegri è ancora un calciatore. Sta chiudendo una carriera non troppo brillante nella Pistoiese, in serie B. Il 20 agosto per la terza ed ultima sfida del girone di Coppa Italia la sua squadra affronta l’Atalanta. La partita scivola via come tante sfide estive, un 1-1 con gol di Luciano Zauri e Girolamo Bizzarri, ma alcuni mesi dopo torna prepotentemente sulle pagine dei giornali: le due squadre vengono accusate di aver combinato il risultato.
Tra gli indagati c’è anche Allegri, colpevole secondo la procura di aver organizzato l’affare qualche sera prima, in una cena con altri sette giocatori. Il processo si tiene il 22 novembre a Milano, dura quattro ore. Ad attenderlo all’uscita ci sono alcuni giornalisti a cui Allegri rivela la sua passione: «Faccio giornalmente scommesse solo sui cavalli, ma ciò mi è permesso», continua «seguo l’ippica da quando ho cinque anni, proprio come molti altri toscani. Sapete in quanti scommettono su questo sport?». Allegri verrà prima condannato ad un anno di squalifica, ma in seguito prosciolto dalle accuse.
Allegri cresce, diventa un allenatore vincente, sovrastando l’immagine di calciatore scapestrato, però non rinnega mai il suo passato. Le scommesse sui cavalli sembrano far parte di questa aura un po’ nebulosa che si porta dietro, ma che rivendica con un certo orgoglio, come in questa intervista in cui ad una vaga domanda riguardo in quale stagione della vita si trovasse, «dopo aver vissuto a mille all’ora» (la narrazione costruita intorno ad Allegri lo descrive come uno fumantino, sciupafemmine, un talento sregolato) risponde così: «Per un lungo periodo lo sono stato: sport, soldi, donne. Avevo cinque anni quando mio nonno mi portò all’ippodromo. Nacque una passione travolgente per le corse. Ho scommesso, ho vinto, perso. Sono stato anche proprietario di cavalli. Mai puntato un soldo però sul calcio, mai indirizzato un risultato. Nel 2001 mi beccai un anno di squalifica per un presunto illecito che non avevo commesso. Prosciolto qualche mese dopo. Ma la ferita ancora mi offende».
In un paese che riserva agli scommettitori sui cavalli l’immagine di traffichini un po’ pezzenti, ben raccontata da Steno nel film Febbre da cavallo, senza però quel carattere tragico dei personaggi col trench bucato di Bukowski, Allegri sembra un po’ vergognarsi di questa sua passione, ora che è un uomo di successo. Ne parla al passato in un’intervista del 2012: «Io nasco a Livorno, città dove si gioca, si scommette. Avevo una passione per giocare ai cavalli. Ma un conto è rischiare il proprio denaro, un altro è vendere o comprare le partite».
Possiamo presumere che ad un certo punto Allegri abbia smesso di scommettere sui cavalli, forse, non lo sappiamo con certezza, ma quello che sappiamo è che l’ippica, i cavalli, il loro correre e soprattutto il suo scommetterci sia uno degli argomenti di conversazione preferiti dell’allenatore toscano. Proprio una scommessa su un cavallo è l’aneddoto che più ha portato alla ribalta questa sua passione.
È il 13 maggio 2018 e la Juventus ha appena vinto il suo settimo scudetto consecutivo grazie a un pareggio a Roma, contro la Roma. È la vittoria più sudata per Allegri, arrivata dopo un serrato confronto con il Napoli di Sarri, e nella conferenza stampa post-partita l’atmosfera è particolarmente rilassata. Un giornalista gli chiede di tornare indietro di dieci anni, di ipotizzare una risposta a chi gli avesse pronosticato tutti questi successi da allenatore. Allegri ha appena detto che se ne vuole andare al mare, a casa, staccare la spina.
Prima di rispondere si prende qualche secondo, guarda in alto verso sinistra, dove di solito guardiamo quando vogliamo ricordare qualcosa ed esordisce «e allora, e allora vi dico una cosa…», si sdraia sul gomito destro perfettamente a suo agio, «vi faccio un esempio di un caro amico che è mancato un anno e mezzo fa…» intervalla momenti in cui tiene la mano sotto il naso e altri in cui alza l’indice, come se fosse un accento, «che faceva l’allibratore dei cavalli, che io ho una passione per i cavalli», questa cosa che è una passione, Allegri la ripete sempre, come fosse una giustificazione ad un comportamento altrimenti deprecabile; alza un’altra volta l’indice e continua «una volta andai a giocare un cavallo, ti parlo di quarant’anni fa e lui faceva l’allibratore. Si chiamava Minnesota». A nominare il cavallo “Minnesota” la faccia di Allegri si apre come una vecchia persiana, lasciando entrare il sole.

Un raro momento di gioia negli occhi di Allegri, mentre ricorda il cavallo Minnesota.
«E io andai là e gli dissi “voglio giocare Minnesota” e lui mi rispose “è più facile che tu alleni in serie A che vinca questo cavallo”». A questo punto noi sappiamo già come andrà a finire la storia, ma Allegri ci tiene davvero a metterci al corrente delle sue fortune da scommettitore: con l’indice puntato alla sua sinistra scandisce «vinse il cavallo» e subito dopo con l’indice che va invece a destra «e io sono arrivato ad allenare in Serie A».

La veridicità della storia è dubbia (abbiamo provato a contattare l’ippodromo, ma senza successo) e neanche necessaria dopotutto. Il giornalista però – da giornalista – ci tiene a far notare l’incongruenza temporale: «Quindi tu a dieci anni scommettevi sui cavalli? Hai detto quaranta anni fa». A noi sembra ovvio che la storia, se accaduta davvero, vada inserita in un tempo diverso, magari al tempo in cui era appena diventato allenatore dell’Aglianese, perché già credere ad un bambino di 10 anni con un proprio allibratore è difficile, ma addirittura ipotizzare che possa avergli predetto un futuro da allenatore di Serie A è semplicemente assurdo.
Eppure non lo è per Allegri, che può ricordare ancora una volta la sua storia preferita: «Sì, anche a cinque, perché andavo con mio nonno ai cavalli. Avevo cinque anni e andavo alle corse dei cavalli. Purtroppo ora l’ippica è andata in disarmo… e invece era tanto bello per i bambini, per le cose. A Livorno c’è una grande passione, ora hanno chiuso anche l’ippodromo, così non ci si può più andare. Però quel mio amico lì mi disse questa cosa qui».

Mandare un cavallo al prato
La passione per i cavalli, oltre ad essere un modo in cui Allegri racconta sé stesso, è entrata anche nel suo linguaggio da allenatore, specialmente da quando è alla Juventus. Ed effettivamente deve essere questa la sensazione che gli dà allenare una squadra estremamente fisica e predisposta alla disciplina, se anche Cuadrado intervenendo di soppiatto in una diretta di JTv dice «e adesso si corre come cavalli».

Sempre nella conferenza stampa successiva alla vittoria del suo quarto scudetto consecutivo, pungolato ancora dallo stesso giornalista sulle analogie tra cavalli e calciatori, Allegri risponde sicuro «molte», poi continua acuendo ulteriormente l’accento toscano: «infatti Benatia l’ho mandato al prato. Perché i cavalli dopo un po’ che vincono si mandano al prato a riposare». Non si capisce bene se – arrivati a quel punto – Allegri stia prendendo in giro il giornalista o se lo pensi per davvero. Quel che è certo è che Benatia, dopo essere stato titolare per tutta la stagione, è stato lasciato in panchina per le fondamentali partite contro Inter e Bologna.

La scelta di Allegri, di preferirgli Rugani e Barzagli, era sembrata un declassamento dovuto alle disattenzioni commesse contro il Napoli, dove in occasione del gol vittoria di Koulibaly che aveva ribaltato i rapporti di forza in campionato, si era perso la marcatura del senegalese, e Real Madrid, dove è lui a commettere il fallo da rigore su Vazquez (anche se qui le colpe sono da dividere tra più giocatori). Poi però Benatia era ricomparso nella finale di Coppa Italia, dove aveva segnato due gol, prima di accomodarsi nuovamente in panchina contro la Roma.

Nel mondo dell’ippica si dice mandare un cavallo al prato per due motivi: o perché si decide che è arrivato per lui il momento della pensione o per concedergli un po’ di tempo nel paddock, un’area all’esterno recintata dove il cavallo da corsa può sgranchirsi le gambe, mangiare un po’ d’erba e muoversi in uno spazio più largo per qualche ora.

Allegri deve averlo usato in questo senso, prendendo una metodologia di allenamento dei cavalli ed applicandola a Benatia. Avendolo visto distratto, lo ha mandato al prato: come il cavallo ha bisogno di svagarsi un po’ rispetto ad una routine fatta da allenamento, gare e vita nel box; un calciatore dopo tante partite e tante vittorie deve avere la possibilità di staccare un po’ la spina.

Non sappiamo se questo metodo abbia funzionato con Benatia, che però meno di un anno dopo se ne è andato al prato da solo, optando però per la pensione in Qatar (dove però non dovrebbe esserci molta erba).

Qualche mese dopo, nella conferenza stampa prima di Empoli – Juventus, Allegri ha risposto a chi gli chiedeva di Mandzukic e Khedira, dicendo semplicemente «Mandzukic è al prato, mentre Khedira sta uscendo dal prato», come se questo modo di dire fosse ormai entrato nell’uso comune (qui trovate l’intervista sottotitolata in inglese, probabilmente tradotta con Google translate, dove “al prato” viene tradotto “at the meadow”, mentre “uscendo dal prato” diventa “is coming out of the lawn” – immagino gli astanti di lingua inglese cosa possono aver pensato davanti a queste due frasi insieme…).

I cavalli vecchi quando devono correre non hanno bisogno di tanto allenamento
Allegri è molto attento nella gestione fisica dei suoi calciatori. Difficilmente chi torna da un infortunio, più o meno lungo, riesce a trovare spazio nella formazione titolare da subito, anche a costo da preferirgli giocatori fuori ruolo. Una visione facilitata anche dalla profondità della rosa, che gli offre diverse soluzioni alternative. All’inizio di questa stagione abbiamo scoperto però che esiste una categoria di calciatori che non ha bisogno di rodaggio: i cavalli vecchi.

Nella conferenza stampa precedente la sfida in casa con il Bologna, ad Allegri chiedono di Barzagli, se è recuperato fisicamente dopo un infortunio che gli aveva fatto perdere la prima parte della stagione. Allegri che dopo quindici minuti di risposte va avanti col pilota automatico, risponde che «Barzagli è completamente recuperato e…» fa una pausa «può giocare dall’inizio» a questo punto Allegri incalza, una piccola scossa lo attraversa e tutto emozionato, quasi mangiandosi le parole continua «perché Barzagli… se no io faccio sempre l’esempio dei cavalli… i cavalli vecchi quando devan correre non c’è bisogno di tanto allenamento, si buttano in camp…», per un attimo Allegri confonde davvero Barzagli per un cavallo, un animale a cui basta lasciare le redini per vederlo correre, ma per rispetto deve correggersi: «si fanno e gli fanno fa la corsa e Barzagli ha fatto degli allenamenti giusti e può tranquillamente giocare».

Allegri ha ripetuto lo stesso concetto, in maniera quasi identica, alla vigilia della sfida contro l’Udinese solo pochi giorni fa. Barzagli è di nuovo al rientro dopo un lungo infortunio e di nuovo gli chiedono se giocherà. Allegri che si stava alzando per andarsene, è proprio l’ultimissima domanda, si risiede felice come un bambino. Dopo una conferenza stampa passata a rispondere a domande sulla partita contro l’Atletico Madrid e sul suo futuro, arriva il momento di parlare delle cose serie. «C’è la possibilità di rivedere Barzagli, è fresco come una rosa» sbatte i palmi sul tavolaccio della sala stampa «e poi ricordate – leva le mani dal tavolo e le muove in aria unendo ripetutamente la punta dell’indice con quella del pollice – i vecchi cavalli quando devono rientrare non hanno bisogno delle corse di rientro… corrono… e corrono molto bene». Dopodiché Allegri si alza, saluta e se ne va.

Rispetto al precedente accostamento tra Barzagli e un vecchio cavallo, Allegri in questa occasione aggiunge una sfumatura tecnica: parla di corse di rientro, gare di spessore minore che un cavallo disputa al ritorno da un infortunio per ritrovare il proprio ritmo. Un termine specifico del mondo dell’ippica e che si trova solo in articoli altisonanti che sembrano usciti da un altro mondo (qui, ad esempio “Tunes of Glory potrebbe, dopo le corse di rientro, essere al punto giusto per fare centro”, mentre “il programma di “Ringo” potrebbe prevedere una corsa di rientro, poi l’Olympiatravet e successivamente l’Elitloppet”). Ma ancora una volta, ci ricorda Allegri, che i cavalli vecchi non ne hanno bisogno.

Barzagli è uno dei pretoriani di Allegri, che pur avendone ridotto l’impiego nelle ultime stagioni, ne ha sempre elogiato l’impegno e la bravura (a margine della partita col Bologna ha detto «purtroppo Barzagli ha 37 anni, ma vi assicuro che è un giocatore di un’altra categoria»). Affermando che i cavalli vecchi non hanno bisogno di tanto allenamento, Allegri sottolinea l’importanza per un calciatore dell’esperienza e della capacità di “sentire” il proprio corpo, cosa che invece manca ai giovani calciatori, a cui Allegri non manca mai di lanciare qualche frecciata, come ad esempio a Kean, che ha 19 anni deve imparare tutto del calcio,

Allegri dimostra una conoscenza davvero notevole dell’argomento “allenamento dei cavalli”, sembra conoscere bene le corse di rientro e soprattutto come ai cavalli vecchi queste non servano (informazione che non ho trovato da nessuna parte, ma a cui mi sento di credere ciecamente). Allegri conosce i cavalli, ma anche come questi vanno allenati: sarebbe davvero impossibile ipotizzare che mentre studiava per diventare allenatore di calcio abbia in qualche misura studiato anche l’allenamento dei cavalli? Una conoscenza che ha finito anche per fregarlo: senza corse di rientro Barzagli ha finito per farsi male dopo pochi minuti, dimostrando come anche le teorie più sicure hanno delle falle. 

Siamo partiti come cavalli al trotto
La Serie A 2015/’16 della Juventus inizia in maniera disgraziata, con tre sconfitte e due pareggi nelle prime sei giornate. Il punto più basso viene toccato qualche settimana dopo, a Sassuolo, quando una sconfitta relega la squadra di Allegri all’undicesimo posto.
Da quel momento arrivano quindici vittorie consecutive, culminate con la vittoria contro il Napoli, che rimettono la Juventus in testa al campionato, posizione che non mollerà più fino al traguardo. Arrivati alla 34esima giornata, con lo scudetto quasi in tasca, Allegri usa i cavalli per spiegare la rimonta: «dopo una partenza ad handicap…» questo termine “handicap” gli fa scattare in mente l’analogia tra la stagione della Juventus e le amate corse dei cavalli «praticamente noi siam partiti come cavalli al trotto, di quelli che partano a 2020 metri, 2040 metri… noi siamo partiti a 2120, praticamente gli abbiamo dato cento metri di vantaggio».

Nell’ippica, l’handicap (o indicap) è una particolare categoria di corse in cui è presente una scala di valore dei singoli cavalli (decisa da una particolare figura chiamata handicapper) attribuendo uno svantaggio iniziale in base ad essa. Principalmente si fa con un peso, più alto per i cavalli più forti, ma esiste anche in altre forme tra cui l’indietreggiamento nel trotto. Ed è a questo che Allegri si riferisce quando parla della sua Juventus: in questa particolare versione della corsa, i migliori cavalli devono fare 25, 50, a volte 75 metri supplementari. Il cavallo Juventus per vincere il suo quinto scudetto consecutivo di metri supplementari ne ha dovuti fare ben 100.

Siamo un cavallo da rincorsa
La metafora dei cavalli che corrono una gara all’ippodromo, Allegri l’aveva già usata all’inizio della stagione, il 22 settembre, prima della partita in casa contro il Frosinone. «Nelle corse dei cavalli ci son cavalli che vanno in testa, vincono e allungano e ci sono i cavalli che partono da dietro e vengono in fondo. Diciamo che quest’anno noi bisogna per forza fare una corsa diversa… bisogna, come si dice nel gergo ippico … “seguire l’andatura”».

A quel punto ad Allegri scappa una risatina «e poi dopo arrivare in fondo». L’arrivare in fondo è uno dei mantra dell’allenatore toscano, che continua ripetendo il concetto che preferisce: «e quindi per arrivare in fondo bisogna arrivare a una buona condizione fisica a febbraio marzo».

Sono migliaia le interviste in cui Allegri cita febbraio, marzo e aprile come i mesi decisivi all’interno dei quali la squadra deve essere nella miglior condizione possibile. A marzo e aprile si vincono gli scudetti, si passano i turni importanti nelle coppe, sono i mesi in cui aumentare l’andatura per arrivare in vantaggio sul rettilineo finale. Un’idea che Allegri potrebbe aver mutuato proprio dall’ippica, dove non di rado un cavallo può vincere cambiando passo nel finale di gara o addirittura di rincorsa proprio come riuscito a quella Juventus.

Saltare la siepe
Con l’addio di Buffon, Allegri ha dovuto riscrivere le gerarchie per quanto riguarda la fascia da capitano: alla prima uscita – quella nel giardino di Villar Perosa – Giorgio Chiellini è diventato il capitano, e si sapeva, mentre un po’ a sorpresa i gradi di vice sono stati affidati a Paulo Dybala.

Una scelta più che altro simbolica: se infatti il capitano è una figura istituzionale, il suo vice non è sempre una figura fissa e vista la folta presenza di figure forti nello spogliatoio della Juventus si può parlare di molti vice. In assenza di Chiellini la fascia ha ruotato molto: contro il Sassuolo è spettata a Khedira (nonostante Bonucci), col Bologna e lo Young Boys a Barzagli (forse il vero vice, ma sporadicamente impegnato), col Genoa – alla 9° giornata – in assenza di tutti i precedenti capitani – la fascia Allegri l’ha data a Bonucci. Alla tredicesima contro la SPAL – nella stessa situazione – il capitano è stato invece Mario Mandzukic.

Interrogato a riguardo nella conferenza post-partita, Allegri, che probabilmente non vuole parlare di questioni interne allo spogliatoio, pensa bene di tirare in ballo nuovamente i cavalli: «Bonucci ha fatto come i cavalli alle siepi», tutto contento mima il gesto con il braccio, fa proprio il gesto di saltare una siepe immaginaria, e con la voce emette anche il suono onomatopeico del cavallo che salta «tuu» e poi continua: «ha saltato la siepe un anno, l’altra volta gliel’ho data, questa volta invece ho ristabilito le gerarchie».

Quando parla di cavalli che saltano siepi, Allegri non si riferisce al salto degli ostacoli nell’equitazione, una disciplina che vede impegnato il cavallo con il suo cavaliere nell’interpretazione di un percorso ad ostacoli, tra cui appunto la siepe; ma ad una variante delle corse dei cavalli rispetto a trotto e galoppo, in cui i cavalli gareggiano su un tracciato in piano intervallato da ostacoli formati da siepi.

Se l’analogia tra l’andata e ritorno di Bonucci e un cavallo che salta una siepe non è molto azzeccata (a meno che Allegri non conosca una siepe così lunga da richiedere un salto lungo un anno), è l’ennesima dimostrazione di quanto l’ippica, i cavalli che corrono, facciano totalmente parte dell’immaginario di Allegri, come per i millennials film o serie TV di culto che citano continuamente, anche senza volerlo.  

I cavalli bisogna vederli quando muovono le gambe
Nel corso di un’intervista a margine di una recente partita tra Juventus e Chievo, Marocchi identifica Allegri come «un grande sfruttatore del momento del giocatore», ovvero capace di scegliere bene i giocatori in base ai loro picchi. Per Marocchi – che si rivolge direttamente all’allenatore – «questa è una tua dote». Al complimento ricevuto, Allegri spiega così i motivi: «Questa purtroppo è una cosa che ho imparato… purtroppo io essendo appassionato ippico ho capito…» quando può introdurre l’argomento è sempre emozionato, le parole si confondono «mi è stato sempre insegnato che i cavalli da corsa bisogna vederli quando muovono le gambe». Per Allegri il discorso potrebbe anche finire lì, i cavalli da corsa bisogna vederli correre – giustamente – non fa una piega, ma poi si sente in dovere di chiudere l’analogia: «così lo stesso i giocatori».

Paragonare atleti e cavalli non è il massimo: si finisce per aggiungere indeterminatezza ad una figura spesso oggettivizzata, trattata appunto alla stregua di un animale tutto muscoli e poco cervello. Questo sembra ancora più vero quando si parla di cavalli, animali maestosi e potenti, ma che necessitano dei paraocchi per dare il meglio quando gareggiano.

Tuttavia quando è Allegri a paragonare i suoi calciatori a cavalli, non appare mai veramente sminuente nei loro confronti, piuttosto il contrario. Allegri dopotutto è un allenatore atipico, almeno davanti ai microfoni: ha spesso parlato del suo lavoro in modo mistico, un lavoro fatto di intuizioni sopra ai numeri e alle idee. Lo stesso misticismo che esiste nel mondo delle corse dei cavalli, dove avendo a che fare con degli animali è naturale rifugiarsi nel valore delle sensazioni, nei modi di dire e nella tradizione popolare. Quando Allegri dice che i cavalli bisogna vederli quando muovono le gambe sembra di vederlo dire la stessa cosa in un assolato sabato pomeriggio all’Ippodromo Caprilli, mentre chiacchiera con i suoi amici, non mentre parla di una squadra che da sette anni vince il campionato ed è da tutti riconosciuta come una delle più forti e meglio allenate d’Europa. Ma invece è così, ed Allegri lo fa con estrema naturalezza.

Naturalezza che invece non possiedono altri allenatori, a ben vedere. Qualche settimana fa – dopo un pareggio contro il Milan, arrivato appena dopo una sconfitta per 7 a 1 in Coppa Italia – Eusebio Di Francesco nel rilassato spazio post partita di Sky si è lasciato andare ad una spiegazione del momento della sua squadra che coinvolge un cavallo.

«È un peccato, perché bisogna prendere sempre prima gli schiaffi per svegliarsi o rialzarsi», Di Francesco sembra un fantasma, le occhiaie di chi non dorme da giorni. Fa un respirone e prova a continuare: «Come ho detto ai ragazzi… c’è una bella storia… no? Quando vuoi seppellire un cavallo che gli tiri tanta terra addosso, per non dire un’altra parola… cerchi di tirartela via piano piano per risalire».

In sottofondo Caressa ride, ma più per cortesia: non è davvero una bella storia sui cavalli, neanche divertente, ma invece cupa. A voler cercare la metafora, non è facile neanche trovarla: inizialmente il cavallo è la terza persona – morta, poi diventa la prima “cerchi di tirartela via”. Chissà cosa hanno pensato i giocatori della Roma, mentre sentivano Di Francesco raccontargliela dopo una sconfitta per 7-1, impegnati ad immaginarsi mentre provano a seppellire un povero cavallo morto.

 Per Allegri invece i cavalli sono come la madeleine di Proust: gli ricordano un tempo passato, se non migliore, più sereno. Citarli nelle interviste, trovare le analogie con i suoi calciatori, gli permette di allentare le pressioni enormi del suo lavoro, tornare con la mente al tempo dell’infanzia dei ricordi felici, che per Allegri sono strettamente legati ai cavalli, così tanto che voglio chiudere con un’ultima citazione dell’allenatore toscano in cui si parla di questi bellissimi animali e che forse spiega il tutto meglio di queste ventimila battute.

«Il mio primo ricordo di Natale da bambino? Non me lo ricordo, però ricordo una foto su un cavallo a dondolo, con me tutto biondino»

Nessun commento:

Posta un commento

Commenta qui

Ricerca personalizzata