Ippica, Galoppo, Corse & Allevamento

image host

Sticker

DAR25813-Equos-banner-Roster-10-NOV22

sabato, febbraio 01, 2020

Addio a Luciano Gaucci, aveva 81 anni. Patron della White Star, vinse l'Arc con Tony Bin

Nella foto, Luciano Gaucci
Il mondo del calcio, dell'ippica, e di tutte le passioni vissute da un personaggio importante come lui, oggi sono in lutto per la scomparsa di Luciano Gaucci. L'ex patron di Perugia, Sambenedettese, Viterbese e Catania, nonché vicepresidente della Roma al fianco di Dino Viola, si è spento all'età di 81 anni a Santo Domingo, dove ha trascorso gli ultimi anni della sua vita. Ma per noi ippici è stato un personaggio che ha dato lustro al nostro mondo grazie alle sue avventure, ed è scomparso a qualche mese di distanza dal Maestro Luigi Camici con il quale ha scritto pagine indelebili per il nostro mondo. 
Luciano Gaucci e Tony Bin
Consigliere del governo dell' ippica, l'Unire (Unione nazionale incremento razze equine), Gaucci in passato ha fatto parlare di sé soprattutto per gli investimenti miliardari. Nel suo periodo d' oro, sia nel trotto che nel galoppo, ha comprato alle aste di mezzo mondo puledri e campioni già affermati.
Ha tenuto in piedi allevamenti in Inghilterra e Francia, dominando la scena in Italia ma anche all'estero.
La trasformazione più importante l'ha avuta dal campionissimo Tony Bin, vincitore della corsa più prestigiosa del calendario mondiale, l' Arc de Triomphe a Parigi, nell' 88. Tra gli altri grandi campioni del galoppo Sikeston e White Muzzle, vincitore del Derby Italiano di galoppo. 
La White Star inoltre ha ottenuto buoni successi anche nel trotto. Con la femmina Jef's Spice che in carriera si è aggiudicata un paio di miliardi di somme vinte. 
Fino a quando poi non decise di ridurre effettivi per gettarsi a corpo morto nell'avventura con il Perugia Calcio, secondo altri perchè aveva bisogno di liquidità per rafforzare la squadra e garantire ingaggi miliardari ai calciatori.
Come riporta il Corriere della Sera, i cavalli gli costarono una penalizzazione: "Gaucci era anche l'uomo di 2 cavalli offerti all’arbitro Senzacqua, un tentativo di corruzione che gli costò la retrocessione in C1(«Se l’avessi comprato davvero, questo signore non ci avrebbe negato un rigore grande come una casa...»)".
Gaucci era il Re Mida dell' ippica, era andato in esilio a Santo Domingo da qualche anno. Nei giorni scorsi un noto produttore di giubbe ha svelato la nuova livrea della White Star per conto di Mattia Cadrobbi, da qualche anno appassionatissimo del PSA prima e del PSI successivamente. In ossequio ed in omaggio per una delle scuderie più importanti nella storia dell'ippica italiana, questa giubba continuerà ad esistere.




La storia di Tony Bin molti la conoscono. Ma riportiamo le righe di Michele Ferrante nel Marzo 2000.
Nato in Irlanda nel 1983 nell' allevamento di P.J.B. O' Callaghan, Tony Bin passò all' asta di Goff' s Sale di Dublino nell' ottobre dell' anno successivo «trovando» un prezzo di 3.000 ghinee (circa 7 milioni) dall' italiana «White Star» di Luciano Gaucci. Ad acquistarlo materialmente fu il veterinario Giampiero Brotto, amico, consulente e «mente» di quella che al tempo era una delle formazioni più lanciate dell' ippica italiana. Brotto fu colpito dalla robustezza, dallo sguardo attento, dalla perfetta simmetria di quel puledro di taglia media. Il prezzo modesto era giustificato da un padre, Kampala, già svenduto dagli irlandesi in Nuova Zelanda dopo una carriera di appena 8 corse, tutte fra i 1000 e i 1600 metri. In realtà, come nipote di Zeddaan, Kampala risaliva a Nearco. Fin qui la cronaca asciutta dell' inizio di un' avventura forse irripetibile che avrebbe trasformato quel puledro onesto al quale l' allevatore - come si usa nei Paesi anglosassoni - non aveva ancora dato un nome, nell' ultimo mito del nostro galoppo e non solo. Al nome provvide lo stesso Gaucci quando, di ritorno dall' Irlanda, passò a Parigi e si trovò al Louvre accanto a un vecchio pittore che stava terminando un' imitazione della Gioconda. Quell' uomo cadente, logoro, affranto si chiamava Tony Bin ed era veneto. Lo invitò a casa sua, in una soffitta, e gli chiese un milione e mezzo di quel quadro vissuto. Gaucci ribassò a un milione, si portò via il quadro e un immenso rimpianto: aver quasi «sottratto» quel mezzo milione. Rientrato in Italia chiamò il puledro come quell' antico, esiliato pittore. Poi, tre anni dopo, nel giorno del vittorioso Arc gli venne incontro un uomo alto e ricciuto: «Sono il figlio di Tony Bin, mio padre è morto in febbraio». Fu la grande amarezza di un giorno, il 2 ottobre 1988, indimenticabile per il nostro galoppo. Un evento atteso dal 1961, quando Molvedo passò vittorioso in una corsa che è la summa dell' intera annata agonistica europea e rende imperiosamente grande chi la domina. Ancora di più se, come Tony Bin, quella corsa l' hai sfiorata l' anno prima finendo secondo e avendo poi la forza, l' audacia e i polmoni di ritentare vincendo per prenderti la rivincita sul favorito: Mtoto. Quell' anno fu l' ultimo dei 4 della carriera di Tony Bin, che dopo l' Arc corse da favoritissimo il milanese Jockey Club, ma non riuscì a dare la gioia ai 12 mila di S. Siro, come nella stagione precedente. Le offerte dall' estero convinsero Gaucci a mandare il cavallo alla Japan Cup (dove finì 5° per una distorsione su un terreno troppo duro per lui) e dal Giappone non rientrò più, venduto a Zenya Yoshida per 3 milioni e mezzo di dollari, circa 5 miliardi. Un moltiplicatore gigantesco: dai 7 milioni dell' acquisto a 8,4 miliardi, perché al prezzo di vendita vanno uniti i 3,4 miliardi (il record per un purosangue italiano) di somme vinte nelle 27 corse (15 vittorie) disputate. Ma quella di Tony Bin è una vicenda di cavalli e di uomini, dove il danaro ha la sua parte, ma non fondamentale. Un accessorio di fronte alla gloria. Basti pensare all' avvio di carriera avvenuto nel settembre del 1985 a Capannelle. Un successo a cui ne seguì un altro, nel «Rumon», e poi il tentativo nel classico Gran Criterium dove Tony Bin non doveva essere che l' «aiutante in campo» di Alex Nureyev, il campione «presunto» di scuderia. Forse a malincuore l' allenatore Luigi Camici, tecnico di capacità antiche e di eccezionale umanità, lo mandò a distruggere il favorito Ozopulmin: missione compiuta, ma di Alex (finito 8°) neppure l' ombra. Mentre Tony Bin dopo una corsa che avrebbe asciugato i polmoni a chiunque era ancora terzo. Sandro Cepparulo Luigi Polito e il campione Vivere e galoppare insieme Uomini, tanti uomini nella sfolgorante avventura di Tony Bin. Luciano Gaucci e famiglia, Luigi Camici e famiglia, Giampiero Brotto e famiglia, Zenya e Teruja Yoshida più famiglie. E poi la gente, tanta gente festante sulle balconate degli ippodromi: Roma, Milano, Ascot, Parigi, St. Cloud, Tokio. E come dimenticare i fantini? Dai francesi Henry Samani, Marcel Depalmas e Michel Jerome, ai nostri Lucio Ficuciello e Gianfranco Dettori, agli americani Steve Cauthen e Cash Asmussen, agli inglesi Walter Swinburn jr, Pat Eddery e John Reid, quello del grande giorno di Longchamp. Tanti che si rischia di trascurarne uno piccolo e nascosto, ma anche così importante da essere il «cuore nel cuore» di Tony Bin. Luigi Polito da Napoli, ieri mattina era il più felice del mondo per la sua Janestra, vittoriosa domenica a Capannelle nel «Tadolina», ma subito la giornata è cambiata: era morto Tony Bin, campione e compagno, anche se assieme sul programma di corse non andarono mai una volta. Fantino del mattino, o «worker jockey» come si dice nel galoppo americano, una sorta di «attore fuori scena», quasi come Tony Bin lo era stato all' inizio della carriera per conto del presto appassito Alex Nureyev. Due anime che si incontravano a meraviglia, speculari e affiatate quanto solo loro sapevano. Anni indimenticabili assieme, da quando, dopo il 4° posto nel Derby, Luigi Camici e il veterinario Brotto decisero di affidare il «fuori corsa» a un fantino solo 20enne e senza pedigree, ma con la seria voglia di imparare. Così Luigi Polito salì in sella a quel cavallo pieno di temperamento e non ne scese più. Con il curioso retroscena che per il pubblico quel nome non esisteva proprio. «Era una persona di famiglia. Buono, forte, coraggioso. Abbiamo sempre lavorato assieme, anche per preparare il secondo e ultimo Arc, e per lui io ho smesso di montare in corsa quasi una stagione. Sono andato dove andava lui, in Italia e all' estero, e non ho rimpianti. In fondo non apparire quando vivi un' avventura così intensa, non è poi tanto doloroso. Magari ci pensi un poco, ma sai di essere importante lo stesso». A dire il vero ci fu un giorno che Luigi Polito stava per farcela, stava per montare davvero in corsa quel cavallo che conosceva meglio del salotto di casa sua. «Fu nel settembre del 1988 quando Tony Bin, ripreparato dopo il 3° posto nelle King George, doveva correre il "Tesio" a S. Siro e non si trovava un fantino di assoluto livello tecnico libero da impegni in quel giorno. Mi si aprì uno spiraglio e so che pensarono a me. In fondo chi lo conosceva meglio? Ma arrivò John Reid. Vinsero e in coppia fecero anche l' Arc. Io fui contento lo stesso. Era davvero uno di famiglia». 
IL RICORDO DELL' ALLENATORE Camici affranto:«Ho perso il cavallo della mia vita» Il «sor Luigi» non ha dubbi: «Il più forte e intelligente che abbia mai allenato. La vittoria nell' Arc la gioia più grande, le sconfitte nel Jockey Club e nella Japan Cup ' 88 le amarezze» Di Tony Bin ormai sapeva poco: qualche occasionale notizia dal Giappone, l' ultima recapitatagli da Mirco Demuro al ritorno dal suo stage asiatico: «Tutto bene - aveva detto - e tanti saluti dalla famiglia Yoshida». Ora, all' improvviso, Luigi Camici è costretto a ricordare un amico che non c' è più: «Un amico, un figlio. Fate voi. Io so solo di aver perso il cavallo della mia vita: in senso sportivo perché mi ha regalato le gioie più grandi, ma anche in senso affettivo. Era buono e forte. Ma soprattutto intelligente, come solo i grandi campioni sanno essere». Di quel cavallo arrivato nelle sue scuderie mischiato nel gruppo, il 73enne allenatore ricorda tutto: «Modello, non appariscente ma proporzionato. Sapeva galoppare». A 2 anni, nel 1985, viene impegnato come gregario del più stimato e costoso Alex Nureyev: «Tony Bin si ritagliò presto una fetta di considerazione in scuderia. C' era anche Alex Nureyev, pensavamo potesse affermarsi prima anche per una genealogia più importante. Tony Bin però non scese mai in pista come battistrada». Nel 1986 la svolta. Camici capisce cosa ha davvero dentro Tony Bin: «Arrivò quarto nel Derby, malgrado avesse galoppato addosso a un avversario. Un vero miracolo. Dissi al signor Gaucci che quel cavallo aveva tanta stoffa. Rientrò in autunno, fini terzo nell' "I- talia" perché corse sciaguratamente in testa, una tattica che non sopportava. Poi fu secondo di Antheus nel Jockey Club». 1987. Le prime gioie vere: «Ormai era il Tony Bin che avevo in mente: cambio di marcia terrificante e una freddezza da brividi. Infilammo una splendida tripletta: Ellington e Presidente a Toma, poi il Milano». Seguì il secondo posto a St. Cloud, nel Gran Premio, e la sciagurata missione ad Ascot nelle King George, sempre con in sella Michel Jerome: «All' aeroporto inglese, Tony Bin fu vittima di una caduta: un pezzo di vetro gli procurò una ferita larga, perse litri di sangue. Lo recuperammo in fretta, ma in corsa non ci fu nulla da fare anche se lottò come un leone». Meritato quindi il primo tentativo nell' Arc de Triomphe a Parigi, con in sella Cash Asmussen: «Fu straordinario. Purtroppo Trempolino ne anticipò la progressione. Ci rifacemmo nel Jockey Club, poi la brutta sconfitta nel Roma. Avevano tutti paura che Tony non tenesse i 2800 metri e frastornarono Asmussen che non ci capì più nulla e si fece beffare da Orban». 1988. L' anno della gloria. «Tagliato» Asmussen, arriva Pat Eddery che vince ancora Presidente e Milano. Poi le King George. Tony Bin è terzo: «Eddery si è fatto chiudere. Mtoto, che aveva iniziato la sua corsa su Tony Bin, riuscì a sfuggirgli». Via Eddery. Arriva John Reid, l' uomo della provvidenza: «Volevamo l' Arc, sapevamo che Tony Bin avrebbe potuto vincere. Lo preparammo a San Siro nel Tesio, a Parigi mi regalò la gioia più bella. Quando lo vidi cambiare marcia ai 300 finali mi vennero i brividi. Quella volta Mtoto restò dietro». La carriera di Tony Bin finisce purtroppo con le due maggiori amarezze per Camici: «Perse il Jockey Club da Roakarad. Lo affidammo a Dettori. Forse Gianfranco sentì la responsabilità e si fece intrappolare in una corsa con poco ritmo. Senza contare che Carrol House gli galoppò addosso». Infine la Japan Cup. A Tokio, Tony Bin era già stato venduto agli Yoshida, ma corse ancora con la giubba di Gaucci: «Abbassai il binocolo all' ingresso in retta. Tony Bin era pronto a spiccare il volo, se li sarebbe mangiati tutti. Invece si afflosciò senza progredire. Capimmo il perché dopo: una storta accusata proprio nel momento cruciale. Una maledetta sfortuna». Come quella che venerdì gli ha portato via la vita. Michele Ferrante

2 commenti:

  1. ippica anni 80, al top mondiale abbiamo avuto proprietari come White star Ajb che hanno vinto due ARC consecutivi e che hanno dato buon lavoro a tanta gente, approposito perchè non parlate mai di Carroll House del mio amico Balzarini il cavallo è ancora incredibilmente vivo!

    RispondiElimina
  2. Non si è mai capito se il cavallo fosse di Andreotti o di Gaucci, cmq altra ippica era un settore florido, ippodromi pieni lavoro di qualità, oggi solo entrando in una scuderia è penoso pochi soldi e troppo lavoro.

    RispondiElimina

Commenta qui

Ricerca personalizzata